I Marloo vogliono deliziare questo periodo con una chicca ideata in esclusiva per te.
Mettiti comoda, siediti sul tuo divano preferito e riservati un po’ di tempo.
Preparati una calda tisana e leggi questo editoriale creato per stupirti.
“La prima pioggia di ottobre era arrivata con vento di scirocco e gocce resinose offuscando i vetri e chiudendo le porte definitivamente all’estate.
Un tappeto di foglie accartocciate si stendeva sulla via quando la saracinesca ruggine, del civico 30, si era alzata sotto lo sforzo di due braccia esili.
Nonostante l’aspetto sonnolento dei palazzoni circostanti, dato da quel primo freddo, nel quartiere era esploso un chiacchiericcio di cicale.
Alle vetrine del negozio, chiuso da anni, erano apparse pagine ritagliate con donne seducenti dai capelli viola o di un bianco albino, la pelle di cera e sguardi felini dal taglio all’insù.
Un’insegna rossa sopra la porta, contornata di lucine lampeggianti, annunciava Salone Nina.
L’arredamento era spoglio: tre poltroncine in plastica e tre specchi.
Un lavello e uno scaffale libreria pieno di tinture dalle scritte cinesi, l’unica nota bizzarra erano lunghi ciuffi di capelli e trecce colorate attaccate ad un chiodino.
Al soffritto e spezie dei bengalesi oramai erano abituati, così come allo sgommare dei BMW dei muratori dell’est, ma che adesso fossero arrivati anche i cinesi pareva un affronto, così la pensava la vecchia portinaia di un palazzo pubblico che si trovava di fronte e ne discuteva con le pensionate della via.

Quando però era apparso il cartello con prezzi e servizi l’indisposizione delle beghine si era tramutata in curiosità: la convenienza prima di tutto, se c’erano da risparmiare diversi euro la proposta andava considerata.
La vita, in fondo, era dura per tutti.
«Ling tradotto in italiano significa Nina?».
« Sì, Sì», diceva la parrucchiera aprendo un sorriso di sole.
«Ma i prodotti che usi per i capelli sono buoni?».
«Sì, Sì», confermava pettinando, tagliando e tingendo.
«Ma sai dire solo sì?» Sì sì, annuiva aprendo un’espressione disarmante e continuando a seguire i clienti.
Shampoo, taglio, colore. Si occupava di tutti senza schifarsi.
Della barba “dello storto” che da quando la moglie lo aveva lasciato aveva dato di matto dimenticandosi l’uso del sapone, ai capelli grassi e fini della vinaia che si considerava la sosia di un’attrice del cinema.
Limava anche le unghie del corniciaio biondo che temeva le schegge del legno e aveva bisogno di avere le mani sempre in ordine.
A Ling non pesava che la tabaccaia arrivasse con la sua lacca personale o che la panettiera si portasse le fialette di farmacia per il rinforzo del cuoio capelluto: l’importante era lavorare.
Tra un trattamento e l’altro lasciava che i clienti chiacchierassero, sfogliando riviste, perdendo tempo a pettegolare.
Sopportava anche dieci ore al giorno di fon, tinture, gel, per un corpo di colomba con un caschetto scolpito lucido come seta nera.
Anche Alex detto Ercolino, un ragazzetto magro dagli occhi verdi alloro, con le sue scarpe da ginnastica sopraelevate, si affidava alle mani di Ling.

Arrivava sempre vicino alla chiusura serale, una pagina di giornale o una foto nel telefonino per mostrare a Ling il taglio dell’ultimo calciatore o rapper in voga.
Lei anche se sfinita, cercava di accontentarlo massaggiando lentamente la sua testa di bambino solo lavorando di rasoio e forbici.
Quando Alex allungava la banconota rossa, Ling gli restituiva sempre un euro e una stretta di mano come segno di attenzione.
Ma non a tutti, in quartiere, faceva piacere la presenza di quella parrucchiera foresta.
Infatti, non c’era giorno che da moto sfreccianti qualcuno gridasse “Vi lava con l’ammoniaca! Tinge i capelli con il sangue”.
Nel volto di Ling passava una nube scura, ma rapida come un polipo riprendeva l’attività in silenzio.
La sera che la TV annunciò che la pandemia dalla Cina cominciava a presentare i primi contagi anche in Italia, il cuore di Ling fu colpito da una pietra.
Pensava alla famiglia lontana a cosa sarebbe potuto accadere.
L’indomani era una giornata grigia e nodosa, quando arrivò al negozio, un enorme scritta nera occupava tutta la serranda MAIALI CI AVETE PORTATO LA PESTE TORNATEVENE A CASA VOSTRA.
Ling compì i gesti di ogni mattina: scopare il pavimento, passarlo con il moccio, spolverare le postazioni e pulire gli specchi.
Alle 8.30 era pronta con il suo grembiule amaranto, ma quel giorno nessuno varcò la soglia.
Il quartiere pareva finito in un incantesimo, per giorni non si avvicinò nessuno, finché la serranda restò abbassata e apparve un cartello bianco contornato da nastro rosa Prendo ferie, grazie gentili clienti, arrivederci.
La situazione sanitaria imponeva la ritirata domestica, ma di Ling non si seppe più nulla.
Così, dopo qualche settimana, sulla serranda iniziarono a comparire dei post-it fluorescenti: NINA CI MANCHI; Torna presto; Sei la negoziante più cortese della zona.
Parrucchiera bravissima.
Venne freddo d’artiglio, pioggia e poi vento rabbioso e le pagine del calendario si giravano sotto il peso dei mesi.
Le persone spiavano la vita dalle finestre e avevano nostalgia del ritrovarsi fuori, di farsi belli chiacchierando nel salone della Nina cinese.
Una mattina di novembre tiepido che profumava di castagne, quando la saracinesca oramai pareva una vecchia coperta fatta a uncinetto tanti erano i messaggi appiccicati, il negozio riaprì.
Il passaparola, nel viale, si fece rapido come una saetta.
L’indomani, Alex Ercolino, si presentò sulla soglia della bottega con un mazzetto di fiori accompagnato dalla panettiera che portava un vassoio di biscotti, il corniciaio arrivò con un involucro avvolto nella carta da pacchi e con voce solenne disse: «Sarai Ling, no Nina», disse alla parrucchiera visibilmente emozionata, scartando la confezione con una nuova insegna: Salone Ling.
«Sì, sì», disse lei con un inchino pieno di speranze ritrovate.”
Monique Pistolato
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Lo Staff – I Marloo